Il paziente

Sono nel letto solo con la schiena sollevata quando la signorina Jennifer entra. Cammina attraverso la stanza guardando il suo blocco degli appunti. La guardo mentre lei mi sta sopra, ma lei non restituisce il mio sguardo. “Come va oggi, signor Wells?” lei chiede. Sto bene, dico.
La stanza sembra essere illuminata in modo naturale, con i suoi gialli morbidi che hanno iniziato a prendere il blu-grigio del primo crepuscolo. Mi prende il polso per il polso, sincronizzando i battiti contro il suo orologio da polso. Brilla una luce prima in una pupilla, poi nell’altra. In un orecchio, poi nell’altro. Fa domande semplici con risposte misurabili. Prende un guanto di lattice da una scatola e lo tira sulla mano destra.
“Un’ultima volta signor Wells”
Miss Jennifer tira fuori il mio cazzo. Con uno spruzzo di lubrificante nel guanto, mi massaggia dalla punta ai testicoli con colpi facili e una torsione del polso. Se sta facendo bene il suo lavoro, quale è, dovrebbe essere distaccata, misurata, ma con le dita abili; dita lunghe e unghie corte e tratti delicati ma approfonditi. Il suo respiro non dovrebbe prendere. Il suo cuore non dovrebbe correre.
La signorina Jennifer ha un’aria concentrata e di tanto in tanto usa l’altra mano – solo il pollice e l’indice – per premere e girare la testa del mio pene o testare il peso delle mie palle. Esamino il suo viso, un leggero rossore sulle sue guance, la sua pelle senza macchia e con un trucco modesto o del tutto assente, a seconda del giorno.. Lei non restituisce mai il mio sguardo. Il letto è a un’altezza tale che la sua mano sembra cadere proprio così; non deve chinarsi o sedersi sul bordo del materasso, diminuendo così la nostra relazione clinica. I suoi fianchi sono leggermente rivolti verso di me. Hanno una curva attraente e si gonfiano. Tengo le mani sui miei fianchi piuttosto che intrecciati dietro la mia testa. Ma afferro le coperte.
I miei testicoli si stringono e il mio polso si accelera, ma Miss Jessica è un piacere e non sembra che voglia eiaculare immediatamente.
“Bene”, dice lei, “ho altri pazienti a cui badare dopo di te. Come posso aiutarti a velocizzare le cose?”
Penso per un momento. “Per un capriccio ti chiedo, posso slegarti i capelli? Lasciare che cadano sulle tue spalle?” Dice purtroppo, no. “Posso mostrarti un seno se vuoi”.
Accetto cortesemente la sua offerta e in un attimo lei disfa la sua maglietta per rivelare sotto di essa un reggiseno color blu uovo con pettorina bianca. Noto che il reggiseno ha un fiocco legato nella parte anteriore, per tirarlo avrebbe annullato i suoi confini, lasciando che entrambi i seni si staccassero in una caduta naturale, ma lei non apriva il tutto. Invece ritira un seno piuttosto pieno e ben formato dalla sola tazza destra. Il materiale spinge la carne con forza verso l’alto e verso l’interno, accentuando il suo arco. L’aureola è quasi la stessa ombra del seno stesso, eppure in qualche modo più morbida, e il colore del reggiseno dà al seno l’effetto di una luna piena che si increspa su un fiocco di nuvole di merletti a mezzogiorno.
La curva trema ipnoticamente al suo accarezzare ritmato, e osservo la lenta metamorfosi della sua aureola mentre i capezzoli si induriscono e diventano più definiti. Nel momento in cui immagino di allattare il suo seno, stuzzicando quel picco rigido, attingendo da esso il latte caldo e dolce, sentendo le calze contro il mio ginocchio mentre lo faccio, vengo su me stesso in uno spasmo. Una o due gocce di sperma mi raggiungono i peli del petto mentre il resto pulsa e mi si riempie di bianco sullo stomaco.
La signorina Jennifer rimuove il guanto liscio e lo fa cadere nel cestino. Lei gentilmente restituisce il seno e si abbottona. Poi (fuori dal personaggio, e non professionale, immagino), immerge un dito nello sperma e poi lo lecca via come una goccia di cioccolato. Si concede un sorriso dolce.
“Grazie, signor Wells. E’ tutto per oggi” dice. Quando se ne va, quando il mio respiro rallenta, quando ritorna il silenzio della stanza, mi pulisco con un asciugamano inamidato e mi addormento facilmente.
“Signorina Jennifer, ci rivedremo domani.”