Nove settimane e mezzo la recensione

Il film “9 settimane e mezzo” è avvolto da un’aura di mistero e scandalo. E’ passato alla storia come il film dal budget più esplicitamente sessuale da “L’Ultimo tango a Parigi”. Interessante la chimica creata tra gli attori, Kim Basinger e Mickey Rourke, che sviluppano una tensione erotica in questo film che è convincente, complicata e sensuale.
Nel film, i due interpretano estranei che si incontrano un giorno in un negozio di generi alimentari cinesi a Manhattan – Elizabeth, la graziosa e graziosa assistente in una galleria d’arte di Soho, e John, il sorridente ed enigmatico mediatore di materie prime. Il loro primo incontro è cruciale per l’intero film, ed è un capolavoro silenzioso di implicazione. Lei aspetta e ente che qualcuno è in piedi dietro di lei. Si gira e incontra i suoi occhi. Lui sorride. La regia di Adrian Lyne, regista anche di “Flashdance” è ben costruita e gli attori risultano credibili e coinvolgenti tenendo chi guarda incollato allo schermo.
Lei si allontana. È ovviamente sorpreso da quanta energia c’era nel loro scambio di sguardi. Esita, torna indietro, incontra di nuovo i suoi occhi, quasi con coraggio, e poi si volta di nuovo. E pochi minuti dopo lo guarda molto curiosamente mentre si allontana lungo la strada. Si incontrano di nuovo, naturalmente, e questo è l’inizio della loro relazione. È chiaro fin dall’inizio che non seguiranno un modello ortodosso di corteggiamento e romanticismo. Lui le offre, abbastanza audacemente, una relazione erotica sperimentale.
La prima volta le lega una benda sugli occhi. Elizabeth è una donna che cuole avere il controllo, e mentre si arrende a lui, si abbandona alla distratta e erotica distrazione. John la chiama in momenti imprevisti, le ordina di incontrarsi in modo non ortodosso e, seguendo le sue istruzioni, sembra che entrambi si ritirino più profondamente nella loro ossessione. Il film mette in contrasto la loro vita privata con il mondo quotidiano del suo lavoro: con le chiacchiere e i pettegolezzi della galleria d’arte, con una visita ad un vecchio artista che vive come un eremita nei boschi, con l’intrigo come il suo ex marito che esce con un’altra donna nella galleria.
Questo materiale quotidiano è una strategia interessante: chiarisce che la vita privata di Elizabeth e John e diventa quasi un gioco consapevole che stanno giocando al di fuori del mondo reale. Alla fine, è la presa di coscienza di Elizabeth sul mondo reale che riscatta il film – lo rende più di una semplice avventura soft – e stabilisce la conclusione ponderata e sorprendente. Finché si comprende che lei e John sono impegnati in una sorta di gioco, e stanno cospirando in una sorta di rapporto maestro-schiavo per il loro reciproco divertimento, Elizabeth non ha obiezioni serie. Ma non appena alcuni dei giochi di John diventano più stimolanti per il rispetto di se stessi, lei si ribella.
C’è un momento in cui John ed Elizabeth corrono attraverso le strade di mezzanotte di una zona pericolosa di Manhattan, inseguiti da gente ostile, e si rifugiano in un passaggio dove fanno l’amore sotto la pioggia. Molto del successo di “Nove settimane e mezzo” lo si deve al fatto che Rourke e Basinger rendono convincenti i personaggi e il loro rapporto. La strategia di Rourke è di non dirci mai troppo su di lui. Si avvolge nel mistero, in parte per il suo fascino, in parte perché tutto il suo approccio dipende dal fatto che sia rimasto un estraneo. La strategia di Basinger è ugualmente efficace e più complicata. Nelle prime scene, mentre è al lavoro nella galleria, fa un ottimo lavoro di sembrare distratta da questa nuova relazione; i suoi occhi si appannano e la sua attenzione si allontana. Ma una delle attrattive del film è il modo in cui la sua personalità emerge gradualmente e trova forza, così che il finale appartiene completamente a lei.